L'epurazione del debito bancario nella crisi d'impresa

Con l'acuirsi della crisi economica "l'istituto" del contenzioso bancario si è fortemente radicato con il proliferarsi delle azioni giudiziarie nei confronti degli istituti di credito volte al recupero di oneri finanziari illegittimamente pagati nel corso degli anni da parte delle imprese -anatocismo bancario, commissioni di massimo scoperto, applicazione di tassi ultralegali, applicazione di spese e valute, applicazione di tassi in violazione della legge 108/96 in materia di usura-, in ordine anche ai profili di nullità dei mutui di consolidamento ovvero quei mutui contratti allo scopo di ripianare pregresse esposizioni debitorie dell'impresa con la banca erogante ed, infine, agli strumenti finanziari derivati sottoscritti dalle imprese. Il contenzioso nei confronti delle banche, quindi, si stà sempre più integrando all’interno della crisi di impresa, in ambito sia fallimentare sia pre-fallimentare, quest'ultimo qualora venga attivato in seno ai classici strumenti di risoluzione della crisi d'impresa cui ricorrono gli imprenditori per risollevare le sorti della propria azienda ed evitare il fallimento, quali Concordato Preventivo ex art. 160 LF e ss. in primis, Accordo di Ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis LF e Piano di Risanamento ex art. 67 LF.

Interessandomi di contenzioso nei rapporti di credito bancario sin dal 1999, praticamente dalla sua nascita, allorquando si registrarono in Italia le prime sentenze di merito nei vari tribunali che vedevano soccombenti le banche, ho potuto riscontrare che si è ormai formata una radicata giurisprudenza nel corso degli anni che ha definitivamente sancito l'illegittimità delle richiamate prassi bancarie, giurisprudenza stessa, che non giustifica più la perpetua miopia tenuta, almeno sino ad oggi, dai tribunali fallimentari nel trascurare i recuperi di somme illegittimamente pagate alle banche nel corso degli anni da parte di imprese sia in sede fallimentare, nel caso di imprese per cui è stato dichiarato il fallimento, sia in sede pre-fallimentare, nel caso di imprese che versano in stato di crisi e che ricorrono, correttamente, agli ottimi strumenti di risoluzione della crisi previsti dalla Legge Fallimentare quali, come detto, ad es. Concordato Preventivo, Accordo di Ristrutturazione dei debiti, ecc.

Altresì, appare necessario premettere che uno dei compiti istituzionali del tribunale fallimentare è quello di assicurare la par condicio creditorum che esprime un principio giuridico in virtù del quale i creditori hanno uguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore salve le cause legittime di prelazione, quindi, va da sè che, essendo il credito bancario acclaratamente inquinato, il tribunale fallimentare, in virtù dei poteri di ufficio conferitigli dalla legge fallimentare ha l'obbligo di muovere tutte le contestazioni sul credito bancario al fine di accertare l'effettiva creditoria della banca ossia quella depurata dalle richiamate voci di illegittimità, il tutto, ovviamente a beneficio della procedura e soprattutto degli altri creditori, come ad esempio un fornitore, dove, il suo credito nei confronti dell'impresa, a differenza di quello bancario, è certo e liquido e per quanto tale esigibile.

Ulteriore paradosso è che molti magistrati in sede monocratica condannano gli istituti di credito alla ripetizione delle somme in favore delle imprese ricorrenti e motivano le proprie sentenze di merito con il chiaro richiamo alle numerose decisioni assunte dalla Corte di Cassazione sui vari profili di illegittimità praticate dalle banche, e, nel contempo, gli stessi magistrati, in composizione del Collegio Fallimentare ammettono al passivo del fallimento il credito bancario per intero ritenendolo certo ed esigibile e per quanto tale non inquinato, ma, così non è, oppure rinunciano a dare mandato ai Curatori di attivare le azioni di recupero di conti chiusi, privando, in tal modo, la curatela, di somme da portare in incremento alla massa attiva del fallimento.
Sempre più frequentemente si verifica che le curatele più attente allorchè attivano il recupero di oneri finanziari illegittimamente pagati dall'azienda fallita in favore delle banche per rapporti chiusi (soprattutto se datati) e contemporaneamente contestano l'ammissione allo stato passivo dei saldi a debito in sede appunto di ammissione al fallimento, riportano in bonis l'azienda fallita; all'uopo occorre evidenziare che la Cassazione Civile con sentenza 23974 del 2010 confermando precedenti orientamenti ha definitivamente sancito che la banca al fine di provare il credito vantato -ovvero il saldo passivo del conto corrente- ha l'onere di esibire sia il contratto di apertura del conto corrente sia gli estratti conto nella sua interezza ovvero dalla data di apertura del rapporto stesso; ebbene, non è raro assistere che, soprattutto per rapporti ultradecennali, la banca non riesce a produrre tutti gli estratti conto sin dalla nascita del conto, quindi, viene meno all'onere probatorio su ella ricadente ed è passibile di completa esclusione dal ceto creditorio del fallimento.

Nello stesso tempo, l'imprenditore in stato di crisi, qualora attivi le azioni di recupero delle somme indebitamente pagate nel corso degli anni in favore delle banche -sia in ordine a conti chiusi sia in ordine a rapporti aperti- si trova a risolvere la crisi aziendale senza aver necessità di avvalersi di alcuno strumento previsto dalla legge fallimentare in virtù appunto dei benefici economici di cui gode derivanti dalle somme recuperate a seguito delle azioni giudiziarie o stragiudiziarie attivate; in altre parole, l'eventuale concordato preventivo al quale avrebbe dovuto ricorrere in assenza di contestazioni nei confronti delle banche, non risulta più necessario o perché l'impresa recupera somme da destinare all'attivo del patrimonio e mettere a disposizione dei creditori o perché abbatte i crediti vantati dalle banche riducendo così il passivo della propria azienda.

Ultimata questa breve premessa è quindi necessario entrare nel vivo dell'argomento trattato e porre in evidenza, analiticamente, in ambito fallimentare le varie fasi in cui può collocarsi il contenzioso bancario, non solo, quand'anche, le varie figure che hanno il potere, nonché l'obbligo, di porre in essere il richiamato contenzioso con il relativo recupero delle somme pagate illegittimamente alle banche.

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